IL VALORE DELLA VITA


 

Un’allarmante notizia che tiene banco da diversi mesi sui quotidiani, nei telegiornali e sui social network è quella relativa al riscaldamento globale e ai pericoli dell’inquinamento. Anche grazie all’impegno e alla visibilità della giovane Greta Thunberg, tutti noi siamo ormai informati del fatto che al nostro pianeta, con questo ritmo, restino pochi anni di vita. 

Pare proprio che la situazione sia tragicamente al collasso: ghiacciai che si sciolgono a vista d’occhio, radiazioni spaziali dalle quali l’atmosfera non riesce più a proteggerci, mari e terre inquinati, animali sulla via dell’estinzione…

Pur senza tacere le perplessità riguardo a questo tema di importanti studiosi come Antonino Zichichi (del CERN di Ginevra), sicuramente vale la pena affrontare l’argomento.

Molti di noi sono cresciuti in famiglie dove non era nemmeno immaginabile gettare una lattina fuori dal finestrino, o abbandonare una carta in un prato dopo un pic-nic. Era implicito ma forte il legame tra la vita della comunità e l’ambiente che lo circondava, soprattutto per la nostra gente di montagna, che dall'ambiente circostante ricavava direttamente il necessario per vivere. Come si è potuti arrivare ad avere tutto il mondo (dai ghiacciai fino agli oceani) infestati da rifiuti di ogni genere? Ma soprattutto, come risolvere tutto questo?

Crediamo davvero che sia sufficiente raccogliere sacchetti abbandonati a lato strada partecipando ad una #trashchallenge, oppure alzare la voce scendendo in piazza chiedendo ai politici di intervenire? I potenti della Terra già si stanno muovendo, ma le soluzioni prospettate non piacciono a tutti: limitazioni alle macchine più inquinanti, ecotassa sulle nuove auto, stop alla produzione di cannucce e piatti di plastica dal 2021. Accorgimenti che comunque non sembrano essere risolutivi.

La sensazione è di una spiacevole impotenza. Ma basterebbe cambiare un po’ prospettiva, allargare lo sguardo, per rendersi conto che una soluzione c’è, si chiama "ecologia integrale", e ci coinvolge in prima persona. Non possiamo pensare di salvare l’ambiente senza salvare l’uomo, che ne è il custode. Il degrado che i nostri occhi vedono nella natura è conseguenza del degrado morale che ci ha colpito come esseri umani. Se io non ho alcun rispetto per i miei simili, perché dovrei rispettare il mondo in cui insieme viviamo? Se nelle mie scelte quotidiane sul lavoro, in famiglia, nella gestione del tempo libero, io non guardo mai al di là del mio naso, dei miei interessi e del mio tornaconto personale e immediato, perché mai dovrei preoccuparmi di chi verrà dopo di me? Stiamo assistendo, su tutti i fronti, al tragico trionfo dell’individualismo. E questo, come un boomerang, ci sta travolgendo, perché tutto è collegato. Matematici e fisici dicono che il battito d’ali di una farfalla possa provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Piccole azioni possono generare grandi cambiamenti, in senso positivo o negativo. Dipende da noi, da tutti noi. 

La speranza è che si riparta dal rispetto degli altri e di se stessi, da una profonda venerazione per ogni vita, in ogni sua forma, in ogni sua fase. Il nostro essere-nel-mondo, come suoi custodi e protettori, è ciò che ci ha reso capaci di cose meravigliose, ma urge oggi ritornare alle origini del nostro stare insieme, per riconoscerci ancora una volta profondamente connessi e interdipendenti gli uni dagli altri. 

A partire dagli ambienti educativi. Se un bambino di oggi imparerà a tenere bene i giochi di tutti, comprendendo che quel piccolo gesto di cura verso gli altri migliorerà il mondo (anche a suo vantaggio), l’industriale di domani non sotterrerà rifiuti tossici per non pagarne lo smaltimento. Se un ragazzo di oggi incontrerà adulti capaci di investire tempo e risorse per il proprio paese, crescerà capace di gesti coraggiosi che, forse, domani, salveranno la vita a molti. 

Se, come adulti, riconosciamo che la nostra generazione ha sfregiato il mondo in cui viviamo, beh, non c’è tempo per abbattersi. La sola cosa giusta da fare è rimboccarsi le maniche, ricreare comunità, riseminare a larghe mani quel senso di appartenenza al mondo, perché possa un domani germogliare di nuovo e portare ancora abbondanti frutti.

di Daniele Rocca*

*filosofo ed insegnante

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