UN VOTO PER TUTTI
Tra pochi giorni, anzi, tra poche ore, saranno
aperti i seggi elettorali. In alcuni Paesi i cittadini hanno già espresso il
voto; il turno di noi italiani, invece, sarà domenica 26 maggio 2019, dalle 7
fino alle 23.
In prossimità di
qualsiasi tornata elettorale, camminando per strada e parlando con amici e
parenti non è difficile sentirsi dire frasi del tipo “Cosa vuoi che cambi con
il mio voto”, oppure “Tanto sono tutti uguali”, oppure altre espressioni e
atteggiamenti che hanno in comune un profondo disgusto per tutto quanto
riguarda la sfera pubblica e una spiacevole sensazione di arrendevolezza
davanti a ciò che la politica sembra essere diventata. I dati sull’affluenza alle
elezioni (europee, in questo caso) confermano un quadro desolante, dove
delusione e disincanto la fanno da padrone.
Eppure non è sempre
stato così.
La politica nasce
intorno al IV secolo a.C. in Grecia, come opportunità per dare senso e libertà
alla vita comunitaria dell’uomo. Nelle póleis greche vediamo il primo
tentativo di cittadini che, insieme, costruiscono una sfera pubblica. Tutto ciò
che accadeva entro le sacre mura domestiche era preparatorio e funzionale alla
vita nell’Agora, vero spazio di realizzazione della persona adulta, dove ognuno
prendeva parte alle decisioni e assumeva i rischi delle scelte della
collettività. Nel fare politica era racchiusa la realizzazione della libertà di
ogni uomo, lo scopo supremo dell’esistenza. Rinunciare alla vita politica non
era quindi un vanto o un motivo di orgoglio, bensì un atto semplicemente
inconcepibile.
Con il passare degli
anni e dei secoli, la sfera pubblica è diventata per molti il luogo dove
“battere cassa” a favore delle esigenze private.
All’orgoglio di far parte di una comunità che prende
decisioni per il bene di tutti è subentrata la diffidenza verso i “politici di
professione”; dall’entusiasmo di poter contribuire alla costruzione della
società si è passati al risentimento per promesse fatte e non mantenute.
Siamo giunti al
capolinea della politica? Non ne abbiamo più bisogno? Forse dovremmo guardare
le cose da un’altra angolazione, riscoprendo il senso profondo di ciò che è
“politico”. E non si tratta di filosofia, o morale. Si tratta di scienza, anche
se potrebbe suonare incredibile. Aristotele per primo definì l’uomo come
“animale politico”, ma se questo non bastasse, una scoperta tutta italiana ha
dato basi scientifiche a questa antica affermazione. Studiosi dell’Università
di Parma hanno scoperto che il cervello ha una “vita sociale”: alcune specie di
neuroni del nostro cervello si attivano semplicemente nel momento in cui
“osserviamo” altri individui compiere una specifica azione. Se osserviamo un
altro essere umano soffrire, anche i nostri circuiti del dolore si attivano. Se
siamo di fronte ad una situazione felice, anche il nostro cervello reagirà
positivamente alla gioia provata da altri. Questa sensazionale scoperta ci
ricorda una volta di più quanto siamo profondamente connessi gli uni agli
altri. Ce lo dicono da sempre filosofi e poeti, ma anche i più scettici ora
dovranno accettarlo: nessun uomo è un’isola. Abbiamo un preciso dovere, come
uomini e donne di oggi, verso il mondo e verso coloro che nel nostro tempo
calpestano insieme a noi questa Terra: amministrare nel migliore dei modi il
potere che ci spetta come cittadini. E in questa fase storica, questo si
traduce prima di tutto nell’esprimere il nostro voto.
Non possiamo esimerci
dal prendere una posizione: lo dobbiamo fare per noi, per quelli che vivono con
noi e per quelli che verranno dopo di noi. Come scrisse Gramsci nel 1919, «l’indifferenza
opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. Poche mani, non
sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la
massa ignora, perché non se ne preoccupa»*
Domenica avremo una matita e un’occasione tra le
mani, per ribadire la profonda dignità del nostro essere cittadini.
Buon voto a tutti!
di Daniele Rocca**
**filosofo ed insegnante
*ANTONIO GRAMSCI, Odio
gli Indifferenti. Chiarelettere, Milano, 2015
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