PERFEZIONE A TUTTI I COSTI
Si
sente parlare sempre più spesso di medicalizzazione
della salute; fenomeno che, nonostante la tecnicità del termine, indica qualcosa che avviene ormai quotidianamente e
di cui, a ben pensarci, siamo tutti consapevoli.
Per
medicalizzazione si intende, infatti, quel processo attraverso cui la
medicina moderna pone al centro della sua attenzione comportamenti e condizioni
di vita che non sono malati, estendendo il suo potere e la sua azione ad ambiti
di vita non caratterizzati da patologia.
Uno
dei casi più esemplari di questo processo è l’uso di farmaci psicostimolanti
nel caso di soggetti diagnosticati con ADHD (disturbo da deficit di attenzione
e iperattività) che riguarda un numero crescente di bambini ma anche adulti.
Mi
è capitato di recente di leggere il libro-inchiesta “ADHD Nation” scritto dal giornalista americano Alan Schwarz*, che ha
indagato l’uso di farmaci per bambini ADHD: lui definisce questa situazione
come una vera e propria pandemia in quanto, stando ai dati da lui raccolti, in
America il 15% dei bambini tra i 6 e i 17 anni possiede una diagnosi di ADHD e
alla maggior parte di essi vengono somministrati farmaci psicostimolanti. In
base alle sperimentazioni scientifiche, questi farmaci hanno degli effetti
migliorativi su una serie di abilita’ del soggetto, in particolare quella di
attenzione e concentrazione, favorendo anche la memoria di lavoro e di
conseguenza aumentando la capacità performativa del soggetto che migliora le
sue prestazioni nei diversi compiti (scolastici e non) che deve svolgere. Tutto
questo ha a sua volta delle ricadute positive sul benessere generale del
soggetto. La domanda viene quasi naturale: e quindi, qual è il problema?
Cosa
c’è di controverso nell’assunzione di farmaci che fanno stare meglio i
soggetti, soprattutto bambini?
Credo
che la questione sia molto complessa e delicata ma vale la pena, secondo me, chiedersi
fino a che punto sia giusto ricercare la perfezione ed il miglioramento degli
individui attraverso farmaci che, seppur efficaci, hanno ovviamente anche
effetti collaterali. Ci sono sicuramenti casi in cui il trattamento
farmacologico è da ritenere necessario ma non si può ignorare il valore della
terapia comportamentale: attraverso di essa, si aiuta il soggetto a modificare
comportamenti disadattivi e inappropriati al contesto di riferimento,
sviluppando strategie alternative, e questo può portare benefici significativi
e a più lungo termine dei farmaci, perché fanno leva sui punti di forza del soggetto
e non solo sulle fragilità e debolezze che il farmaco cerca di tamponare
nell’immediato.
Si
tratta di una problematica che implica vari aspetti ed è chiaro che rientrano
in gioco interessi che noi possiamo solo immaginare, come quelli delle case farmaceutiche
in primis, ma non possiamo fermarci a questo! C’è anche un discorso etico e
socio-culturale dietro il fenomeno della medicalizzazione: quanto siamo
disposti a perdere di noi stessi, della imperfezione umana che ci caratterizza
per rispondere ai criteri di bellezza
ed eccellenza che ci richiede la società?
Il
caso dell’ADHD è un caso esemplare in questo senso perche’ nel giro di pochi
decenni le diagnosi sono triplicate non solo in America (questo è un altro dato
allarmante del libro) ma in tutto il mondo, anche in Stati africani e Arabi.
L’Italia non è ancora a questi livelli ma questa è la direzione che sta prendendo
anche il nostro Paese.
Pensiamo
ad un altro esempio, di natura totalmente diversa: la chirurgia estetica,
riflette appieno quella che è la medicalizzazione poiché in questo caso la
medicina agisce allo scopo non di sanare ciò che è malato ma di migliorare ciò
che è sano. Non c’è qualcosa di molto rischioso nell’affidare alla cura medica
il potenziamento di noi stessi e il miglioramento della nostra vita? Non si
minaccia in questo modo la stessa essenza dell’essere umano che è anche
imperfezione, limite, mancanza?
Credo
che valga davvero la pena riflettere sulla direzione che sta prendendo la
società rispetto a questi aspetti, se non altro per esserne consapevoli e
sviluppare una posizione critica rispetto ad essi.
di Valentina Trabucchi**
*Alan Schwarz "ADHD Nation" Little-Brown Book Group, 2016
** Educatrice e laureata in beni culturali
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