A SCUOLA DI GENTILEZZA


 

Qualche giorno fa ho trovato in internet – da qualche parte, non mi ricordo nemmeno dove è saltato fuori - un brevissimo articolo su una scuola irlandese che al posto dei classici compiti delle vacanze di Natale, ha assegnato ai suoi studenti delle missioni di gentilezza da fare ogni giorno delle vacanze. Piccole cose, come per esempio chiacchierare con una persona anziana piuttosto che aiutare qualcuno della famiglia: azioni concrete, a misura di bambino, rivolte agli altri ma anche a sé stessi.

L’iniziativa mi ha fatto sorridere e riflettere insieme: sorridere pensando alla bizzarria umana, che continuamente si avventura in situazioni alternative ed esperimenti geniali; riflettere, perché ne sono derivate una domanda e alcune considerazioni: dobbiamo davvero imparare la gentilezza? Non è qualcosa che l’uomo ha dentro di sé per natura, a partire da quando si è fanciulli? Sembra una domanda retorica ma non lo è, soprattutto quando, lavorando in contesti educativi, capita, a volte, di incontrare la “cattiveria” dei bambini. I bambini possono essere molto cattivi, nei confronti dei compagni ma anche degli adulti; lo sono nelle parole e anche nelle azioni. Non possiamo certo nasconderlo.

Forse, allora, bisogna davvero tornare a insegnare loro la gentilezza. Ma, prima ancora, noi adulti dobbiamo tornare a impararla e a praticarla, la gentilezza. I bambini ci guardano e ciò che apprendono deriva soprattutto dal nostro esempio, da quello che siamo non tanto nelle parole ma nei fatti. Dobbiamo tornare, noi per primi, a credere che l’essere buoni sia un valore e che la mitezza sia un punto di forza, non di debolezza.

Se, come dice la mamma ad Auggie, nel film “Wonder”, «tra l’avere ragione e l’essere gentile, noi scegliamo sempre la gentilezza», allora per noi immaginare una scuola che insegna la gentilezza non è poi così una stravaganza perché, in realtà, trasmettere le regole per vivere bene insieme è un suo compito. Come scuola si potrebbe, però, azzardare di più, diventando promotrice di percorsi scolastici più “umani”, in cui tra gli obiettivi ci sia anche la crescita di persone altruiste e generose, capaci di solidarietà e gentilezza; di una didattica che includa, oltre alle discipline e alle materie tradizionali, lo sviluppo di capacità di empatia e sensibilità, di tolleranza e sostegno, rispetto alle quali possano emergere anche gli alunni meno dotati intellettualmente, anzi, soprattutto loro: bambini e ragazzi che rimangono ai margini dei percorsi di istruzione ma che, nelle azioni concrete, sono spesso i più capaci di gesti di vicinanza e amorevolezza nei confronti degli altri.

di Valentina Trabucchi*

*educatrice e laureata in beni culturali 

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