Qualcuno dice: «non è più la gioventù di una volta»


 

Lavorando in campo educativo da diversi anni, molto spesso mi è capitato di sentir dire da svariati adulti, la fatidica frase «É cambiato tutto, non sono più i giovani di una volta!», e ogni volta che la sento ha quel non so che di scoraggiante e demotivante, per questo ho provato a farmi un'idea riguardo a questa strana “convinzione adulta”.

Certo, i tempi sono cambiati, anche solo rispetto a quando ero bambino. Il mondo ha avuto un'evoluzione davvero rapida e importante, e parliamo solo di una decina di anni fa e poco più. Certamente la tecnologia, il modo di relazionarsi e le abitudini quotidiane hanno subito una vera e propria rivoluzione, ma questo vale da sempre nel passaggio da un'epoca ad un'altra. 

Eppure, mai ho sentito dire che il mondo rischiava la sua fine per colpa del cambiamento radicale delle "nuove generazioni". 

E allora perché dare la colpa ai nostri giovani sempre e comunque?

Potrebbe sembrare un controsenso, ma essi sono solo il risultato dei mutamenti di una società, sono infatti gli adulti che principalmente educano le generazioni future. Quindi, secondo questa logica, i giovani sono il prodotto umano di scelte e metodologie educative utilizzate in passato. 

Eppure «non c'è proprio niente da fare, questi giovani non sanno nemmeno cos'è il rispetto!». 

Certo, ma qualcuno si è mai preso la briga di spiegare a loro cosa significhi rispettare l'altro? 

Ci siamo mai chiesti quali modelli educativi offriamo come mondo adulto?

I nostri ragazzi sono in un'età già di per sé fragile e di passaggio, oltretutto costantemente bombardati dalla televisione, dai social, dalla “fissa per l'apparenza” e non per la sostanza, dal prevalere sull'altro, dalla competizione costante e “dalle guerre” di insulti dietro alle tastiere. 

E allora, ora più che mai, avrebbero bisogno di riferimenti adulti stabili che possano fungere da ormeggio nel pieno di una marea così incerta e caotica come questo ventunesimo secolo. Non è una questione di generazioni diverse l'una dall'altra, ma si tratta di avere adulti capaci di donare presenza gratuita, una presenza che però sappia ascoltare per davvero senza giudicare a priori. Una presenza che li aiuti a scoprire la bellezza delle cose semplici, l'importanza dei gesti fatti di persona e non virtualmente, cercando soprattutto di diventare un riparo concreto dalla solitudine.

Sono sempre più convinto che i mezzi educativi più potenti siano la spontaneità e la capacità di ascoltare, ascoltare soprattutto i silenzi interminabili che sono soliti della nostra gioventù. Non servono grandi cose, serve solo ripartire dal principio. 

L'adulto ha il compito di assumersi la responsabilità dell'educazione del futuro mettendo da parte il proprio narcisismo sociale per accogliere l'altro; perché incolparli e accusarli di presunta inadeguatezza non fa altro che aumentare la loro incertezza, l'incapacità di scegliere tra giusto e sbagliato, aumentando la fatica nell'affrontare ogni piccola difficoltà.

Certo attuare questo tipo di cambiamento non è semplice, ma, quando una casa è vecchia, poco stabile e non riesce a reggere dinanzi al tempo che passa, prima di lasciarla cadere a pezzi, la si ricostruisce ripartendo dalle fondamenta, da un sostengo di base forte e solido. 

Non serve a niente fare il processo all'evoluzione tecnologica, ai nuovi modelli e alla moltitudine di rischi al quale i nostri giovani sono esposti, perché ognuno è figlio della propria generazione e non può vivere di soli pregiudizi, ma solo di nuove risorse. Serve quindi rimboccarsi le maniche ed essere più pronti e determinati nell'affrontare questo nuovo mondo che è tanto pieno di pericoli quanto di possibilità. 

Alla fine, il cambiamento nasce da piccoli passi, iniziamo a cambiare prospettiva... Distogliamo l'attenzione dai problemi e dalle paure, e facciamo luce sulle risorse e sulla consapevolezza. 

Alla fine, si inizia cambiando prospettiva, un po' come gli aquiloni, che pensano che sia la terra ad essere attaccata al filo.

Le nuove generazione sono l'aquilone che riesce a prendere il volo solo se c'è qualcuno di ben saldo a terra che tiene il filo. 

di Simone Cusini*

*educatore ed insegnante

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