Nessun uomo è un'isola (Daniele Rocca - filosofo e insegnante)

 


“Non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te”. 
Così termina una celebre poesia dell’inglese John Donne, che alla fine del ‘700 utilizza la forte immagine della “campana da morto” per richiamare l’attenzione su un fatto tanto scontato quanto evitato: tutti, in quanto esseri umani, dobbiamo morire. Il poeta va però oltre, suggerendo che la morte di un altro essere umano sveli un legame che ci connette profondamente gli uni agli altri.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa[1].
Il suono di quella campana ci coinvolge tutti (e nei mesi terribili della primavera 2020 ne siano stati inermi testimoni) ampliando il significato della citazione senechiana cotidie morimur [2]: moriamo ogni giorno non tanto (non solo) perché invecchiamo, ma soprattutto perché profondamente legati ai destini altrui (con buona pace della tensione all’autarchia e al bastare a sé stessi, di origine cirenaica ma oggi così di moda). Sarà Ernest Hemingway, un paio di secoli più tardi, a rendere immortale questo sermone, prendendone in prestito l’immagine per uno dei suoi romanzi più celebri [3].
In una classe di scuola superiore, piena di adolescenti con tante fragilità e differenze, il tema della vita personale come fenomeno sociale, come innesto dentro una comunità di persone, dovrebbe avere un adeguato approfondimento su molteplici fronti. È importante che il giovane che sta diventando uomo comprenda a fondo di non essere una “monade”, esclusivo padrone del proprio destino (con i suoi successi e fallimenti), bensì membro di una imbarcazione dove è fondamentale ricercare traiettorie condivise e raggiungere mete comuni. Dove il limite proprio e degli altri acquista senso nel sostegno reciproco offerto dal gruppo. Nel delineare questa prospettiva “ecologica” la scuola si deve proporre come avanguardia della società, dove all’individualismo narcisistico si contrappone la valorizzazione dell’individualità in quanto ricchezza per il mondo, cercando quindi un punto di incontro tra l’importanza delle iniziative personali e le dinamiche di un gruppo che deve trovare il modo di convivere per sopravvivere (come i grandi problemi che affliggono il mondo moderno ci chiedono[4]).
È significativo che Jean Vanier chiami i membri della sua Arche[5] con l’appellativo di compagni, uomini e donne che hanno vinto la paura della differenza, del non sapere come comunicare per vivere insieme come amici. Nelle sue conversazioni con Julia Kristeva[6] emerge il tema del piacere di convivere, operatori e persone con disabilità, liberandosi dalla tirannia della normalità, creando luoghi dove poter essere sé stessi con le proprie debolezze e le proprie forze[7] e dove la gioia di stare insieme va ben oltre alla fredda presa in carico di una persona con bisogni particolari. In maniera simile, vivere la quotidianità della classe da parte di un insegnante, incontrando in modo autentico e con piacere i propri alunni, significa accettare di immergersi completamente in un vero microcosmo[8], un bagno di umanità dove mettersi a disposizione senza riserve e dove l’autorevolezza deriva non da atteggiamenti di chiusura, ma dalla disponibilità al dialogo autentico e anche dalla messa in discussione di sé.
L’annuncio di tale profondo e innato legame tra i membri della comunità umana dovrebbe emergere in maniera coerente tanto dall’attenzione alla vita concreta dei ragazzi, quanto da un certo modo di presentare i contenuti didattici. La quotidianità vissuta dagli studenti, costellata di gioie e anche di tragedie, deve trovare spazio adeguato tra le mura della classe: tempi e luoghi dedicati dove abitare la distanza tra me e l’altro sospendendo il giudizio, lasciando il proprio pensiero disponibile e permeabile[9]. Mantenere aperte occasioni di racconto dove ognuno si senta titolato a lasciare agli altri qualcosa di sé, tanto che si tratti di una fatica o di un successo. Per quanto riguarda la didattica, si dovrebbe ripensare la presentazione dei grandi re, santi, condottieri, letterati, filosofi e inventori che hanno fatto la storia come dei geni isolati, avulsi dalla loro realtà di vita, mettendo invece in evidenza come fossero profondamente immersi e coinvolti in determinati climi culturali e sociali e sottolineando continuamente come l’impegno pubblico e politico sia stato determinante e abbia conferito senso a molte esistenze illustri ed esemplari.
Se gli insegnanti sapranno mantenere uno sguardo strabico, che riconosca nel fare didattica che c’è tanto futuro nel passato, che sappia far emergere le potenzialità indirizzandole in dinamiche di servizio e proporre esperienze positive di interdipendenza, allora la classe diventerà un luogo in cui andare volentieri ogni giorno[10], dove ogni studente potrà crescere con il proprio ritmo, dentro la propria storia.

[1] J.Donne, Devotion upon emergent occasion, Meditation XVII.
[2] L.Seneca, Ad Lucilium, Epistola 24, 20.
[3] E.Hemingway, Per chi suona la campana, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1978.
[4] Vale la pena di citare la scena contenuta ne Le avventure del Barone di Münchhausen di R.E.Raspe in cui il protagonista racconta di essersi salvato dalla palude in cui stava sprofondando “afferrandosi” per il codino, immagine di una concezione solipsistica della condizione moderna dell’uomo, che intende “salvarsi da solo”.
[5] L'Arche è un'organizzazione internazionale di volontariato privato che lavora per la creazione e la crescita di case, programmi e reti di sostegno con persone con disabilità intellettiva, fondata nel 1964 proprio da Vanier.
[6] Psicanalista e filosofa francese, di origine bulgara, madre di un figlio con disabilità.
[7] J.Kristeva, J.Vanier, Il loro sguardo buca le nostre ombre. Dialogo tra una non credente e un credente sull’handicap e la paura del diverso, Donzelli editore, Roma 2011, pag. 28 et alibi.
[8] Homo mundus minor, diceva Severino Boezio. Ogni testa, un piccolo mondo, parafrasava mia nonna Anita. Ma credo sia maggiormente vero che dentro ogni scuola e tra le pareti delle classi si ritrovino, in scala ridotta, tutte le grandi dinamiche relazionali, politiche e di potere presenti nel mondo intero.
[9] I.Lizzola, Aver cura della vita. Dialoghi a scuola sul vivere e sul morire, Castelvecchi, Roma 2021, pag. 132.
[10] L.Cottini, Didattica speciale e inclusione scolastica, Roma 2022, pag. 206.

Daniele Rocca (filosofo e insegnante)

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