Drogati di felicità...altrui. (Nicole Galli - 18 anni studentessa)
Un
giorno una persona mi ha chiesto «si può essere dipendenti dalla felicità degli
altri?», io ho risposto semplicemente «sì».
Ho riflettuto molto su questa conversazione, che poi in fin dei conti è stata solo una domanda e una risposta, ma da quella volta ci ho ripensato spesso.
Si può essere dipendenti dalla felicità di una o più persone? È una cosa sana? Può farti mettere da parte la tua stessa felicità?
Ho riflettuto molto su questa conversazione, che poi in fin dei conti è stata solo una domanda e una risposta, ma da quella volta ci ho ripensato spesso.
Si può essere dipendenti dalla felicità di una o più persone? È una cosa sana? Può farti mettere da parte la tua stessa felicità?
Una quantità industriale di
queste domande mi circola per la testa da mesi. Non ho un’opinione totalmente
oggettiva sull’argomento, o almeno non riesco ad averla, perché
fondamentalmente sono anche io un po’ dipendente dalla felicità degli altri.
Non che io metta da parte la mia per quella altrui, sia chiaro, ma piuttosto
perché rendere felici le persone rende felice me. È una cosa un po’ contorta e
complicata da capire se non la si prova, ma è un po’ come quando una persona a
cui tieni è triste e tu, standole accanto, inizi a condividere un po’ questo
suo malessere. È una reazione a catena e per me, che rido per vivere, è una
beatitudine. Ho sentito di persone che vivono questa necessità in modo un po’
masochista, nel senso che la loro felicità è legata a doppio filo a quella
altrui e la loro dedizione agli altri li porta spesso ad un’infelicità
autoinflitta.
Voi ora mi chiederete «non è quello che hai appena detto tu».
Ebbene no, il confine è veramente sottile, ma c’è una differenza abissale. Io provo felicità nel far felici le altre persone, ma non è l’unica cosa che mi rende felice, non ho la necessità di far sorridere gli altri per essere felice, è solo una cosa in più. Non è una cosa di cui ho disperatamente bisogno per stare bene e in pace, sì, mi dà benessere, ma è come un accessorio in un bell’outfit: se c’è bene, se non c’è si vive comunque. Per certe persone diventa una cosa auto-distruttiva a livelli esponenziali; metti caso che per un periodo tu non riesca a rendere felici le persone accanto a te, perché magari non riescono a staccare la testa da un loro problema, perché sono in un periodo dove vivono di stress o magari anche perché sei tu il problema. Cosa fai in questo caso? Ti crogioli nella tristezza finché non trovi qualcuno da rendere felice?
Mi duole dirlo, ma non funziona così, non deve funzionare così.
Ti stai auto-sabotando gratuitamente, stai dando le chiavi della tua felicità ad altre persone, ripeto, la TUA felicità. Si può effettivamente rendere la felicità altrui parte della propria, ma non è minimamente sano renderla il centro della nostra vita, e sì, come tutto in questo mondo anche questo principio deve avere un limite ben chiaro e definito, se no diventa una porta diretta per l’auto-distruzione.
di Nicole Galli (studentessa)
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