Non vedo, non sento, non parlo (Michele Ricetti - educatore e pedagogista)
L’Open
Space attivo da alcuni anni presso il Centro di Aggregazione Giovanile - che dà
la possibilità ai ragazzi più grandi delle medie e a tutti gli adolescenti di incontrarsi
in un ambiente libero, aperto e soprattutto non giudicante – prima in modalità
sperimentale e ora a tutti gli effetti vivo e in costante crescita, mi mette di
continuo in discussione.
Ascoltando i tanti racconti che condividiamo, mi interrogo sul nostro essere adulti e quando cala il silenzio della giornata, sento un forte vuoto mettendo insieme i pezzi dei loro vissuti, racconti e speranze.
Ascoltando i tanti racconti che condividiamo, mi interrogo sul nostro essere adulti e quando cala il silenzio della giornata, sento un forte vuoto mettendo insieme i pezzi dei loro vissuti, racconti e speranze.
Si alternano momenti di spensieratezza e momenti di tristezza, momenti di allegria, gioco e momenti di confronto e delusione. Ti rendi conto che la realtà spesso e volentieri è ben diversa da quella che poi quotidianamente noi adulti viviamo. Una quotidianità frenetica e spesso appesantita dalle tante preoccupazioni che come famiglie e adulti viviamo, con il rischio di perdere per strada – alle volte volutamente e spesso no - momenti fondamentali del loro crescere quotidiano.
Ti scontri con un’adolescenza che ha un bisogno impressionante di essere ascoltata, accettata, e stimata per quello che è.
Nel silenzio della sera mi domando:
Come possono i nostri ragazzi trovare terreno fertile se spesso noi adulti siamo i primi ad essere in difficoltà di fronte alle loro richieste di aiuto?
Come possiamo parlare loro di droga, di alcol e di prostituzione quando spesso e volentieri siamo i primi a vendere “sottobanco” i prodotti che a loro servono?
Come possiamo davvero essere una comunità credibile se siamo i primi a mettere in dubbio che queste cose succedono anche da noi?
Come possiamo nel nostro piccolo essere davvero degli esempi per tutti loro se per primi troviamo sotterfugi per non assumerci le nostre responsabilità?
Come possiamo rispondere alle loro provocazioni se per primi non ci siamo fatti un esame di coscienza su quello che stiamo trasmettendo loro?
Come possiamo parlare loro di temi attuali e importanti quando provocatoriamente ti domandano cosa pensiamo dell’omosessualità, dell’amore, del sesso se banalizziamo il loro pensiero con «va bene tutto l’importante che non succeda in casa mia»?
Come possiamo aiutarli a crescere quando affrontano temi come la fede, il credere o il non credere se come adulti non ci prendiamo il tempo di metterci in discussione e chiudiamo il discorso con «si è sempre fatto così»?
Come possiamo parlare loro di trasparenza, di onestà, di futuro se abbiamo paura di raccontare le cose che non vanno?
di Michele Ricetti (educatore e pedagogista)
Bravo Michele
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