Skatepark: sono tutti drogati!! ...ma dal pregiudizio. (di Michele Ricetti & una ragazza di 16 anni - educatore & studentessa)
«Sono una ragazza di 16 anni, vivo a Livigno e nel tempo libero passo le mie giornate al “Park”.
Il park, nonché il parco giochi di santa Maria, è frequentato maggiormente da bambini e famiglie; ma negli ultimi anni si è creato un gruppo di ragazzi che passa le giornate a giocare a basket o a “schiaccia cinque”.
È un gruppo che comprende ragazzi di ogni età, da ragazzi di 19 anni a ragazzini di 13, e ogni giorno si aggrega qualcuno di nuovo che sia un turista o un ragazzino che ha voglia di fare nuove amicizie.
D’estate ci troviamo sempre lì per ascoltare buona musica e per divertici tutti assieme; spesso organizziamo di andare a camminare o di andare a fare il bagno al lago, ma ovviamente con l’arrivo dell’inverno è meno frequente il passaggio al park perché col freddo artico di Livigno ci rifugiamo all’Open Space o a casa, dove ci sentiamo accolti.
Sappiamo bene che cosa pensa la gente di Livigno di noi e di quello che la maggior parte degli adulti crede del park, ma soprattutto tra noi ragazzi in questo luogo, ci si sente liberi di dire quello che si pensa, e di vestirsi come più si vuole, perché nessuno verrà giudicato o preso in giro.
Molto bello il park vero? Sembra quasi strano che dei ragazzi possano essere così, no?
Forse proprio per questo il park non è visto bene dal mondo degli adulti.
Agli occhi del mondo adulto, vedere dei ragazzi con vestiti diversi dai loro e che ascoltano musica non troppo ascoltata alla radio o in giro, porta solo a una cosa:
Sono tutti drogati!
Sì, perché, se un ragazzino indossa vestiti larghi neri e ascolta musica Trap o altro, gli viene immediatamente affibbiato il nome di tossico o spacciatore.
Sembra strano anche questo, no? Perché un adulto dovrebbe etichettare un ragazzino in questo modo?
Eppure, non siamo dei poco di buono che cercano di fare i grandi o gli arroganti in un parco giochi.
Tanti ragazzi lavorano già per aiutare le loro famiglie, tanti di noi fa volontariato, aiutando tipo il CiAGi oppure quando serve alle varie feste paesane.
Ma un perché a queste etichettature c’è, ed è che gli adulti vedono solo quello che vogliono vedere, vedono solo dei ragazzini che a parer loro sono così diversi esteticamente dagli altri (o da quelli che si definiscono “normali”) che per forza fanno qualcosa di losco o addirittura cattivo.
Ma questa cosa come influisce sui ragazzi?
È questo che nessuno si pone, nessuno si ferma un attimo e pensa a come potrebbero stare questi ragazzi per tutti i pregiudizi che gli si affibbiano.
Molti di loro si sentono sbagliati, si sentono la pecora nera della situazione, e molti altri perché persone adulte gli etichettano in questo modo pensano che forse veramente sia loro destino diventare così.
Il flusso delle loro parole è dove annega costantemente il loro pensiero e come in tutte le cose, situazioni o momenti, ci si dovrebbe fermare un attimo prima di giudicare qualcuno, perché non si può sapere cosa la persona davanti a noi ha passato o sta passando tuttora.
Il riflettere su quello che si dice è una regola fondamentale del rispetto e dell’educazione, e per questo non bisogna mai dare per scontato che una battuta, o un giudizio, verso altre persone, non possa fare male.
I ragazzini di oggi sono gli adulti di domani e distruggerli già adesso con cose che non han fatto probabilmente li farà stare peggio fino a che “l’odio e il pregiudizio” che gli si butta addosso partirà direttamente da loro, finendo con l’odiarsi e non sentendosi più liberi come prima. Facciamo anche noi i nostri sbagli e tra di noi non tutti stanno prendendo la strada migliore, ma proviamo insieme a trovare il nostro posto nel mondo anche sbagliando, ma crediamo che il pregiudizio che aleggia intorno a noi non ci aiuti per nulla».
Da anni lavoro con i ragazzi che vengono definiti del Park, e in questo periodo ne ho sentite di tutti i colori, sia positivamente che negativamente.
Soprattutto, che la maggior parte di loro siano dei consumatori accaniti di sostanze, di “occupanti di taverne”, di alcoolizzati senza sosta.
Ebbene, si... tanti di loro lo sono, non nascondiamolo, ma come lo sono diversi ragazzi, giovani e meno giovani di Livigno e Trepalle – cosiddetti “normali” – ma che sono più sgamati di loro. Alcool e droga ne girano tanto, come nella maggior parte del mondo, ma mi domando: come possiamo davvero aiutarli se come adulti facciamo fatica a dirci che anche noi dobbiamo fare la nostra parte?
So bene, e sarebbe da illusi credere che siano tutti degli stinchi di santo. Anzi, sono dei veri esperti a combinarla “grossa”, ma questo non può bastare per etichettare tutti quanti.
Da adulti li vorremmo tutti appassionati nello studio, nello sport, nel volontariato, protagonisti attivi della nostra comunità e portatori di valori positivi, ma non sempre è così.
La maggior parte di loro chiede una cosa sola. Il tempo.
Tempo da trascorrere con loro per raccontare quello che vivono, ma preservando la libertà di sbagliare.
Tempo per un abbraccio, senza la presunzione di capire la rabbia che hanno dentro.
Tempo per litigare, con la consapevolezza che il bene che gli vuoi non venga messo in discussione.
Tempo per “perdere tempo”, perché da lì nascono le idee per occuparlo.
Tempo per sentirsi dire che “non siamo d’accordo”, perché lì può nascere un confronto.
Tempo per sentirsi sé stessi, magari sbagliando, ma sapendo che non li abbandoniamo a loro stessi.
Tempo per crescere, con la consapevolezza che dovranno assumersi la responsabilità di quello che fanno.
Non ho la soluzione a tante domande che ci facciamo, ma sono consapevole che spesso ci dimentichiamo che, come diceva un detto «quando il giovane parla, il vecchio ha già parlato».
di Michele Ricetti & una ragazza di 16 anni
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