Sotto lo stesso cielo. (di Valeria Rodigari - educatrice)

 

    È una giornata di ottobre, durante il pomeriggio arriva al CiAGi una telefonata: «c’è un’urgenza. Da domani riuscite ad integrare il gruppo medie con due nuovi ingressi? Ci sono due ragazzi israeliani, bloccati a Livigno per colpa della guerra».
    La notizia ci prende di sorpresa, e diverse domande si fanno strada nella mia mente: «Come faremo a comunicare con loro? Sapranno parlare qualcosina d’inglese? Ma soprattutto, come reagiranno i ragazzi a questa notizia?»
    Non ho tempo di trovare una risposta a quelle domande, che è già arrivato il momento di accoglierli, così lascio che siano i ragazzi a trovare una soluzione.
    Due ragazzini israeliani, che parlano principalmente russo, e sanno qualche parola di inglese. Un gruppo di 30 ragazzi/e di prima e seconda media che parla italiano, e qualche parola di inglese. 
     Due mondi apparentemente e culturalmente diversi, che condividono per alcune ore lo stesso spazio, la stessa stanza.
     Gli sguardi intimoriti dei due, gli sguardi incuriositi degli altri.
    Qualcuno rompe il ghiaccio, si avvicina e chiede timidamente «What’s your name?», la risposta arriva veloce, così veloce che nessuno riesce a capire i due nomi. Necessita subito una nuova strategia: chiedere ai ragazzi di scrivere il loro nome su un foglio, così qualcuno va a prendere carta e penna, loro scrivono i propri nomi, ma guardando il foglio si vedono solo – ai nostri occhi - degli “strani” simboli, nulla che assomigli alle lettere del nostro alfabeto.
    Urge cambiare piano un’altra volta, a qualcuno viene la brillante idea di sfruttare la tecnologia (benedetto Google Traduttore) e inizia così una conversazione base, fatta di parole semplici e di domande per scoprire qualcosa in più sull’altro.
    Qualche gioco immediato (UNO, memory) in cui non servono troppe parole, ma basta uno sguardo per capirsi e poche regole da rispettare.
    Due mondi apparentemente diversi, eppure profondamente simili. Un Paese in pace, l’altro coinvolto in un conflitto. Stessa età, stessa curiosità negli occhi, stessa voglia di divertirsi e giocare, stessa voglia di sorridere e di vivere la vita.
    Il tempo vola quando ci si diverte, che è già arrivato il momento di salutare i nuovi arrivati. Successivamente, durante il momento dedicato allo svolgimento dei compiti, nascono spontanee alcune domande: «Cosa staranno pensando questi ragazzi della situazione in cui si trova il loro Paese? Come staranno vivendo il fatto di trovarsi in un Paese straniero, con lingua e cultura diversa? Quando potranno tornare a vivere sereni nel loro Paese, che da “casa” è diventato luogo di pericolo e di morte?». 
    Queste domande, che nascondono una sensibilità e un’empatia forte, mi lasciano per un attimo senza fiato.
    Anche adesso non ho una risposta, eppure in quella stanza mi sembra di averne trovata più di una.
    La voglia di comunicare, nonostante la barriera linguistica, utilizzando la tecnologia, e ancor prima il linguaggio del corpo. 
    La curiosità di avvicinarsi e di conoscere la diversità, senza pregiudizi e senza paura, cercando di imparare sempre qualcosa. 
    Il non arrendersi alla prima difficoltà cercando strategie diverse per raggiungere lo stesso obiettivo.
    Che lezione di vita ragazzi/e! 
   Se solo i “potenti” potessero entrare in quella stanza e imparare che “mondi diversi” possono benissimo convivere e condividere lo stesso territorio, senza usare la violenza, praticando semplicemente il rispetto e l’empatia. Se solo i “potenti” potessero capire che a 11/12 anni gli unici pensieri dovrebbero essere divertirsi, sorridere e condividere la bellezza del vivere.
    E pensare che è pure stata scritta una Convenzione che stabilisce e riconosce i diritti fondamentali dei bambini e dei ragazzi…ma ce la dimentichiamo troppo in fretta. 
    Ora i ragazzi sono potuti rientrare, ma è ancora forte l’emozione di quello che loro sono stati in grado di regalarci con la loro presenza e la preoccupazione per tanti altri ragazzi come loro che vivono in un Paese in cui la pace sembra un lontano miraggio.  

di Valeria Rodigari (educatrice)

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