Il coraggio di sentirsi diversi (di Michele Ricetti - educatore e pedagogista - & E.C. - 17 anni)

(tempo di lettura 3 min.)

Alcuni giorni fa me ne stavo seduto con alcuni ragazzi dell’Open Space mentre cercavamo di mettere in ordine la piccola libreria che abbiamo da poco “inaugurato” e che, grazie al fondamentale aiuto della biblioteca a cui va il nostro grazie, ora abbiamo diversi libri adatti alla loro età. Libri che gli adolescenti possono attingere come e quando vogliono.
Ci stavamo dilettando a sistemarli in ordine e a commentarli; io con la speranza che alcuni di loro si lasciasse coinvolgere nella lettura, loro molto più scettici – e decisamente meno entusiasti di me – cercavano di capire se almeno uno di quei libri avesse delle figure da sbirciare.
Improvvisamente si apre la porta ed entra una ragazza che non vedevo da tempo, una “vecchia conoscenza” che il tempo l’ha resa grande e decisamente sul pezzo in mille attività. Chiedo di abbassare la musica, per salutarla senza dover per forza urlare, e tra una risata e l’altra ci sediamo su uno dei divanetti presenti all’Open.
Mentre il resto “della banda” continua con il lavoro di catalogazione dei libri che va via via scemando, avevamo ormai raggiunto il fatidico momento: «Faccio un salto in negozio», «Pausa siga», «Scendo un attimo», «partita a calcetto?» e via dicendo…

Noi due ci sediamo sui divanetti e iniziamo a raccontarci del più e del meno, dalla scuola al moroso, dalle prossime vacanze di Natale all’estate lontana.
Finché il suo viso si fa più serio, quasi pensieroso.
 «Tutto ok? Abbiamo toccato qualche argomento che non dovevamo?» le chiedo.
«No no tutto a posto, ma sai Mitch mentre parliamo mi è venuto un pensiero che mi passa per la testa da tempo a cui fatico a dare una risposta»
«Dimmi»
«A volte penso a come si sentano i ragazzi della mia età, forse perché io mi sento diversa, eppure non so se agli occhi degli altri appaio come mi sento io»
Incalzo, cercando di mettere in ordine con lei un’espressione così carica di significato: «Non ho capito che cosa intendi»
«Mi è capitato di aiutare altre persone in diversi momenti e questo mi ha permesso di osservare e provare a comprendere di più, mi sono chiesta perché di fronte a determinate emozioni/situazioni ci sentiamo diversi e facciamo fatica ad accettarlo?»
L’argomento si fa sempre più profondo e tosto, il suo viso è carico di pensieri che corrono velocemente. Prosegue.
«Mi rendo conto che in effetti non è facile accettare di sentirsi diversi e per diversi intendo utilizzare modi alternativi per comprendere o vedere la realtà»
«Fammi degli esempi concreti»
«Come un ragazzo/a dislessico che non accetta gli strumenti necessari per riuscire a ottenere una visione della sua realtà più chiara e semplice oppure penso ai ragazzi/e che quando non riescono a spiegare ciò che provano e sentono aspettano per tutta la settimana il sabato sera così si ubriacano e per una limitata porzione di tempo si sentono sollevati dal peso dei pensieri che sembrano infiniti»
Ci accorgiamo entrambi di aver toccato il fulcro del nostro argomento. Si crea un momento di silenzio, come se il peso delle parole avesse un suo significato. Un silenzio che ha bisogno di essere accolto, ma che ha il diritto di “essere riempito”. «Vedi E., accettare i propri limiti è una delle cose più difficili al mondo, per voi giovani ma anche per noi più grandi. Ci sono adulti che continuano a comportarsi come adolescenti perché non accettano il passare del tempo rendendosi tremendamente ridicoli, o altri che preferiscono non toccare certi argomenti per paura di doversi esporre in prima persona e allora preferiscono rifugiarsi dietro il “è sempre colpa di altri”, purtroppo “il sì è sempre fatto così” è la rovina del cambiamento».
La mia risposta le suscita un motto di orgoglio… la guardo infiammarsi.
«Ok, ma davanti a ciò mi chiedo come possiamo fare per iniziare ad accettare la nostra personalità totalmente amando anche ciò che ci fa sentire diversi»
Accettare, amare, diversità.
Penso rapidamente e mi rendo davvero conto che queste tre paroline insieme potrebbero stravolgere il corso della storia, se solo prendessimo davvero coscienza che tutto il nostro correre acquisirebbe senso se sapessimo andare oltre il guardare il puntino della nostra breve o lunga vita.
Le chiedo quasi con speranza: «che cosa possiamo fare?»
«Ce ne sono poche di davvero efficaci, ma sono convinta che una tra le principali "soluzioni" a cui sono arrivata è farsi aiutare. Aiutare dagli adulti che non per forza devono essere i propri genitori, ma anche educatori, zii, parenti, psicologi. Figure adulte che possano aiutarci a gestire, capire e soprattutto accettare alcuni disagi che nel nostro percorso da adolescenti, che si avviano nel mondo dei grandi, si possono presentare.»
Un sorriso sulle labbra mi solca il viso, la sua risposta è stata una botta di vita. La speranza che davvero il cambiamento è in atto ogni giorno, e che i nostri giovani – un tempo, come ora – non ci chiedono la luna, ma di esserci. Di essere presenze Vere e coerenti, discrete in alcuni momenti, ma credibili.
«Dunque davvero la diversità non sarebbe più un ostacolo…»
«Si, perché sentirsi diversi non vuol dire essere strani, ma accettare il fatto che tutti siamo diversi e in quanto tali ognuno ha bisogno di strumenti diversi per riconoscere le proprie emozioni e non solo, imparando a viverle, anche se a volte la strada più semplice sarebbe evitarle o nasconderle.»
 
Mi accorgo di avere ancora un libro tra le mani, sorrido mentre mi alzo e lo sistemo insieme agli altri. Mi giro trovando le parole giuste per ringraziarla «che ne dici di raccontare la nostra chiacchierata, la gente fatica a credere che dentro quattro mura, spesso gremite di gente e cariche di musica si possa andare oltre le apparenze?»
«Fammici pensare ti farò sapere»
 
Grazie per aver detto di sì.

di Mitch e E.

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